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Mattone su mattone, abbiamo costruito un rifugio?

Matteo Spairani, consulente finanziario

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Gli italiani sono culturalmente e storicamente molto legati all’investimento immobiliare e questo di per sé non è un fattore negativo, ma dalla credenza che il “mattone non tradisce”, occorre riemergere con un approccio professionale, selettivo ed obiettivo. 

Gli immobili sono un bene rifugio?

Quando parliamo di beni rifugio, tipicamente pensiamo all’oro, il metallo giallo che nell’immaginario popolare di per sé ha un’aurea di protezione intrinseca, ma subito dopo la mente corre verso gli immobili.

Questa convinzione è talmente radicata che è considerata una verità acquisita e metterla in discussione attira critiche da più parti. Il mio obiettivo è sottoporre degli spunti per ampliare il ragionamento che dovrebbe accompagnare chi è mosso da questa aspettativa di solidità.

Iniziamo a sfatare un mito: non esistono beni rifugio che aumentano di valore costantemente nel tempo in ogni situazione, in ogni contesto, sia esso di pace, di crisi o di eventi particolarmente eccezionali.

La difficoltà non è capire cosa sia un bene rifugio, diamo per assodato che sia un concetto interpretato come la “protezione” dalle intemperie economiche e finanziare: è però molto più complesso analizzare nel tempo l’andamento di ciò che riteniamo essere un rifugio, perché richiede lo sforzo tecnico di documentarci correttamente ed inoltre è una sfida contro noi stessi, o meglio contro i nostri preconcetti e verità soggettive.

Anche ciò che per sua natura è appunto immobile come una casa, ha nel tempo delle dinamiche di volatilità del suo valore per effetto di molteplici fattori che non sono soltanto intrinsechi, cioè propriamente legati alle caratteristiche specifiche del bene, ma derivanti anche da situazioni esterne non controllabili, come ad esempio lo sviluppo o il degrado di una zona, gli aspetti fiscali, il contesto economico, i tassi d’interesse, le scelte di governo, ecc.

La differenza è la Motivazione

Comprare casa è un pallino degli italiani, tant’è che siamo sovrainvestiti in asset immobiliari: circa il 60% della ricchezza privata sul suolo italiano è rappresentata da beni che su quello stesso suolo sono appunto ben cementati.

La differenza sostanziale sta nella Motivazione: si comprano immobili per uso abitativo, ossia la propria casa, quella dove vivrà la famiglia, oppure (e qui è tutto un altro mondo) si acquista per finalità d’investimento.

Compravendita di un immobile

Se per la prima motivazione non ho molto da dire se non il consiglio di ampliare tutte le necessarie valutazioni, affinché sia un acquisto corretto e ragionato, finanziariamente sostenibile e possibilmente appagante rispetto alle necessità personali e della famiglia, sulla relazione immobile uguale investimento che non tradisce, possiamo fare qualche approfondimento.

Il primo punto è non cadere nelle generalizzazioni: l’Italia come si usa dire è lunga e stretta e ci sono zone (poche) dove determinate dinamiche di mercato immobiliare hanno portato nel tempo notevole beneficio ai valori. Vi sono poi aree (la maggioranza del territorio) che hanno vissuto nel corso degli ultimi 2 decenni, un graduale e costante depauperamento dei prezzi.

Quindi, se non sto guardando appartamenti in centro a Milano (che per effetto di una continua riqualificazione, oggi nelle sue dinamiche di mercato è praticamente assimilabile ad alcune importanti capitali europee) o in aree metropolitane (Torino, Bologna, Firenze, Roma, ecc.) o di notevole rilevanza turistica, il resto del panorama immobiliare italiano, richiede di essere ben ponderato se voglio effettuare un investimento.

Qualche dato sul contesto di mercato

Secondo l’ISTAT, anche nel primo trimestre 2022 si conferma un tendenziale positivo, ripartito dalla fine del 2019 dopo una fase complicata: l’indice dei prezzi delle abitazioni (IPAB) acquistate dalle famiglie, per fini abitativi o per investimento, aumenta dell’1,7% rispetto al trimestre precedente.

L’aumento tendenziale dell’IPAB è da ripartire sia tra i prezzi delle abitazioni nuove che delle abitazioni esistenti.

Attenzione: sulle case di nuova costruzione, il prezzo finito (mediamente + 5% rispetto al trimestre precedente) risente soprattutto degli elevati maggiori costi per materie prime ed energia.

Il mercato immobiliare nella prima parte dell’anno si conferma vivace, anche grazie al traino che tutto il settore sta vivendo ormai dalla seconda metà del 2020, dovuto ai Bonus Fiscali del Governo (Superbonus 110, Sismabonus, Ecobonus di varie tipologie).

Vivacità non sempre fa rima con redditività

Il fatto che il mercato sia vivace, nel numero delle compravendite, non necessariamente indica che i prezzi stiano salendo e saliranno in futuro.

Ci sono alcuni elementi che vanno ponderati in tal senso:

  1. Il nuovo pesa circa il 20% delle transazioni e oggi i valori di realizzazione stanno sensibilmente lievitando per materie prime scarsamente reperibili, costi energetici, aziende già impegnate sui bonus fiscali e quindi poco disponibili, inflazione.
  2. Il doping per il settore edilizio da bonus fiscali è sotto gli occhi di tutti. Gli stessi interventi svolti 3 anni fa, oggi vengono eseguiti ad un costo mediamente quasi raddoppiato.
  3. I tassi dei mutui sono in netta crescita e questo incide sulla minor possibilità di finanziarsi da parte degli acquirenti.

Su questo ultimo aspetto occorre fare un piccolo inciso: negli ultimi 10 anni è stato estremamente conveniente e anche facile (visto che le Banche non avevano margini sui depositi), poter accedere a forme di mutuo, anche a tasso fisso, con rate particolarmente contenute. L’IRS a 20, su cui si costruiscono i tassi fissi dei mutui a lungo termine, non più tardi di inizio 2021, era a valore Zero, questo implicava di dover pagare solo lo spread della Banca per chi accendeva un finanziamento con finalità di acquisto immobiliare. Da qui la possibilità di poter accedere a valori di credito ben superiori alle medie storiche, pur in un contesto di stipendi (e quindi capacità di spesa) stabili. Oggi, estate 2022, lo stesso parametro è superiore al 2%, per effetto delle tante variabili economico-finanziarie di questi ultimi mesi. A parità di condizioni (durata, capitale finanziato, spread della banca) lo stesso mutuo stipulato un anno fa ed oggi, avrebbe una rata mensile da rimborsare maggiorata di quasi il 25%.

I maggiori investitori europei

Non è stato nemmeno così raro il caso di investitori europei, tipicamente residenti in Paesi del centro Europa, che grazie a mutui con tassi pressoché nulli, se non addirittura negativi (ci sono stati casi in Austria di banche che hanno proposto tassi sotto lo zero), hanno costruito un vero e proprio arbitraggio: si sono indebitati con interessi ridicoli nel loro Paese per venire ad acquistare immobili in Italia come investimento da porre a reddito attraverso affitti con ritorni decisamente superiori. A quelle condizioni il gioco stava in piedi, mentre alle condizioni attuali certamente è molto più problematico e rischioso.

E qui entra in gioco il tema della rischiosità: anche gli investimenti immobiliari possono avere dei fattori di rischio.

I fattori di rischio negli investimenti immobiliari

Il primo da considerare è il rischio liquidità: in caso di necessità, l’immobile per sua natura non è detto che sia un bene così rapidamente alienabile. Per quanto possa avere delle condizioni di attrattività sul mercato, i tempi di vendita e quindi di realizzo del suo valore, non sono immediati.

La variabilità dei prezzi, come vediamo nel grafico qui sotto elaborato dall’ISTAT, ci pone nella condizione di dover aprire una riflessione su altre tipologie di rischi che tipicamente possono influire sul valore del bene: 

  • La posizione dell’immobile e come il contesto intorno ad esso muta, così come mutano le preferenze dei potenziali acquirenti (un nuovo centro commerciale nelle vicinanze potrebbe avere un impatto positivo/negativo, così come delle infrastrutture che modificano migliorando o peggiorando la viabilità ed i collegamenti).
  • Il prestigio della città e del territorio nel quale è ubicato l’immobile (lo sviluppo urbanistico, gli investimenti pubblici e privati, le scelte delle amministrazioni locali).
  • Le caratteristiche proprie dell’immobile stesso: la sua tipologia, le dimensioni, la fungibilità, i costi energetici connessi al suo funzionamento ed i costi di manutenzione.
  • Il rischio locazione: visto che parliamo di investimento, quale valore può esprimere in termini di rendita, la concentrazione e la solvibilità dei conduttori, i tempi di rilocazione.

Tralasciamo in quanto assolutamente aleatori, i rischi fiscali, legati ad un inasprimento degli oneri che possono derivare da scelte del Governo Centrale o delle Amministrazioni Comunali.

In sintesi possiamo concludere che investire nel mattone può essere una scelta in ottica di diversificazione del proprio patrimonio, a patto che non sia una porzione sovradimensionata o eccessivamente concentrata, rispetto alle proprie risorse.

L’immobile acquistato per sé e per viverci con la propria famiglia è un Investimento con la “I” maiuscola, perché è negli obiettivi fondamentali di gran parte dei nuclei familiari.

Quando si tratta invece di puntare alla rivalutazione del suo valore per una successiva alienazione o per trarre una rendita periodica, occorre approcciarsi con attenzione, ponderando le variabili ed i rischi che anche in questo caso, così come per un investimento finanziario, sono ineliminabili.

Così come per gli investimenti finanziari, anche per le scelte immobiliari è possibile mappare il proprio patrimonio in case, analizzarne l’utilità, effettuare delle analisi volte ad efficientare la propria posizione e gli obiettivi di compravendita.

Vuoi approfondire il tema?  Contattami per una analisi personalizzata.

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